Il Granduca di Toscana

Nono dei 16 figli di Maria Teresa D’Asburgo e dell’imperatore Francesco I di Lorena, Leopoldo II d’Asburgo-Lorena (Vienna, 5 maggio 1747 – Vienna, 1° marzo 1792) fu Granduca di Toscana con il nome di (Pietro) Leopoldo I di Toscana dal 1765 al 1790 e Imperatore del Sacro Romano Impero e re d’Ungheria e Boemia dal 1790 al 1792. Era il secondo maschio per cui, come dai patti dinastici stabiliti dopo l’estinzione della famiglia Medici, ottenne la corona di Toscana.

A differenza del suo predecessore si stabilì a Firenze e iniziò con zelo un programma di riforma ad ampio raggio, facendo di uno stato marginale nel contesto delle potenze europee un paese moderno e all’avanguardia sotto molti aspetti. Fu un chiaro esempio di “sovrano illuminato” e le sue riforme si contraddistinsero per una propensione agli scopi pratici più che a quelli teorici.
Nella sua opera riformatrice si avvalse di importanti funzionari come Giulio Rucellai, Pompeo Neri, Francesco Maria Gianni, Angelo Tavanti.
Il granduca avviò una politica liberista promuovendo la bonifica delle aree paludose nella Maremma e nella Val di Chiana e favorendo lo sviluppo dell’Accademia dei Georgofili. Introdusse la libertà nel commercio dei grani, introdusse la nuova tariffa doganale del 1781, riformò certi aspetti della legislazione toscana ma il suo maggior progetto fu la redazione di un nuovo codice, che Pompeo Neri avrebbe dovuto realizzare, non giunse a termine per la morte del Neri stesso. In campo ecclesiastico Pietro Leopoldo si ispirò ai principi del giurisdizionalismo, sopprimendo i conventi e abolendo i vincoli di manomorta. Nel periodo 1779-1782 Pietro Leopoldo avviò un progetto costituzionale che continuò ulteriormente nel 1790 per fondare i poteri del sovrano secondo un rapporto contrattualistico. La riforma più importante introdotta da Pietro Leopoldo fu l’abolizione degli ultimi retaggi giuridici medievali: in un colpo solo abolì il reato di lesa maestà, la confisca dei beni, la tortura e, cosa più importante, la pena di morte grazie al varo del nuovo codice penale del 1786 (che prenderà il nome di Riforma criminale toscana o Leopoldina).

 

Il Granducato di Toscana sarà quindi il primo stato nel mondo ad adottare i principi di Cesare Beccaria, il più importante illuminista italiano che nella sua opera Dei delitti e delle pene invocava appunto l’abolizione della pena capitale.
Dal 2000 la Toscana ricorda la ricorrenza con la “Festa della Toscana”, che si festeggia il 30 novembre, giorno di promulgazione del Codice Leopoldino.

 

La riforma che più ci interessa come comunità di Levigliani fu la trasformazione del sistema fiscale. Fu da Pietro Leopoldo intrapresa fin dai suoi primi anni di regno e nel 1769 venne abolito l’appalto generale e iniziata la riscossione diretta delle imposte. Esitante si rivelò invece il sovrano fra la politica di Tavanti, che fino al 1781 attraverso il catasto, intendeva prendere la proprietà fondiaria come termine di misura per l’imposizione fiscale e, dopo la morte di Tavanti, nel 1781, quella di Francesco Maria Gianni, suo maggiore collaboratore dal quel momento, che concepiva un piano di eliminazione del debito pubblico attraverso la vendita dei diritti fiscali che lo stato aveva sulla terra dei sudditi. Si sarebbe poi passati a un sistema fondato esclusivamente sull’imposizione indiretta; operazione questa che, iniziata nel 1788, non era ultimata nel 1790 quando Leopoldo divenne imperatore.