Emilio Simi

I primi saggi di cava risalgono alla metà del 1700. Si ha notizia di una piccola cava di breccia medicea sotto la vetta ovest del monte Corchia che veniva lavorata dal Sig Michele Silicani di Pruno. Il materiale della chiesa di Pruno sembra fatto proprio di quel materiale.
Successivamente alle brecce si iniziò a pensare a una coltivazione di marmi bianchi ordinari e statuari.
Fu Emilio Simi, naturalista di spicco come dimostrano le sue opere: Flora Alpium Versiliensium, il Saggio Corografico sulla ricchezza minerale della Versilia e il Prodromo della Fauna della Versilia, il primo imprenditore del corchia a livello industriale, nel 1841, a intraprendere i primi tentativi di estrazione del Marmo ancor prima dell’impresa di suo padre Angiolo, nel versante sud del Monte Corchia.
Ad Emilio Simi si deve anche la scoperta dell’ Antro del Corchia. Furono proprio sue le prime esplorazioni nel 1840 dell’allora Buca della Ventaiola o d’Eolo (oggi Antro del Corchia).
Egli trasformò l’ingresso dell’Antro in una lunga galleria che doveva servire per la ricerca del marmo statuario.
Da qui fu iniziata la coltivazione di una piccola coltivazione di marmo anche oggi ben visibile.
Per fare ciò Emilio Simi chiese l’aiuto e la consulenza del noto docente universitario Paolo Savi affinché indicasse il luogo più idoneo alla coltivazione del marmo.
Intorno agli anni 1900, Simi estraeva dalla sua cava marmi di ottima qualità.
Questo si può vedere anche dai numerosi portali, vasi e colonne tutt’oggi presenti a palazzo Simi. Il trasporto dalla cava a Levigliani veniva effettuato non con la lizzatura ma bensì con una pista da “bob” dove veniva effettuato il rotolamento dei marmi estratti fino in paese. Questi marmi venivano trascinati per la “via del tiro” oggi via Nord e poi fatti strusciare fino all’inizio del solco delle noci. Ecco perché, e i Leviglianesi lo sanno, quella parte di via viene chiamata ancora oggi “lo struscio”. Dal solco delle noci venivano fatti rolorare giù per un solco, ancora oggi presente, fino in fondo al canale in una zona denominata “la Fabbrica” dove vi erano due segherie.